Donne selvagge

 






Donna.

Rimani incubatrice di accordi e disaccordi, di musiche desertiche, di oceani perduti.

Il latte è scaduto, chiuso il dispenser degli infiniti abbracci, degli intrecci, delle ghirlande di fiori. 

Puoi essere ferita, fredda, strega, allattare senza i seni, affilare i denti verso chi vuole addomesticare le tue lande, verso chi vuole conoscerti con le pietre.

Trova un balsamo per la tua tigre. Gli occhi son di fuoco, tieni in caldo antiche pozioni, desideri inconfessabili, vivi.

Incontra la tua ombra muta, di bruma, al tramonto e nel primo mattino e lascia parlar la terra che trema, lascia che ti dia la voce.

Ricorda la tua anima a quattro zampe,  rammenta che puoi ballare anche con i lupi.

 

Questa mia poesia trae ispirazione dal libro: Donne che corrono con i lupi di Clarissa Pinkola Estés. Mi fu regalato da donna a donna, tramandato, “trasfuso”:  sono profondamente grata di questo dono! Ne  riporto alcuni estratti meravigliosi. Con l’augurio che le donne sappiano ritrovarsi.

 

Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo fatte crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti

 

 

Dove vive la donna selvaggia? In fondo al pozzo, nel corso superiore dei fiumi, nell’etere senza tempo. Vive nella lacrima e nell’oceano […]  Vive nel verde che sbuca tra la neve, vive negli steli fruscianti del morente grano d’autunno, vive dove i morti vengono per un bacio e i vivi inviano loro preghiere. Vive nel luogo in cui si fa il linguaggio. Vive di poesia e percussione e canto. Vive di quarti di tono e di note di passaggio, in una cantata, in una sestina, nei blues. E’ l’attimo che precede l’ispirazione che ci abbaglia.

 

 

Le storie mettono in moto la vita interiore e ciò è particolarmente importante là dove la vita interiore è spaventata, incastrata, messa alle strette. Le storie conducono nella terra dei sogni, all’amore, alla conoscenza. 

 

Da una storia:

 

Una vecchia strega dei Ranchos mi disse che la Que Sabè (colei che sa), sapeva tutto sulle donne, le aveva create da una piega sulla pianta del suo piede divino. Ecco perché le donne sono creature che sanno: sono fatte della pelle della pianta del piede, che sente tutto. Quest’idea della pelle del piede sensibile suonava vera, perché una donna acculturata della tribù Kiché mi disse una volta che aveva indossato il primo paio di scarpe a vent’anni e ancora non si era abituata a camminare con los ojos bendados, con gli occhi bendati.

 

Speriamo di sentire presto il nudo dell’oceano, della sabbia, dei deserti di stelle fitte.

 

 

 

Commenti

Post più popolari