Miguel Benasayag: Funzionare o esistere?

 



Miguel Benasayag è un filosofo e psicoanalista argentino che ha scritto molti libri, tra cui il bellissimo: “Funzionare o esistere?"

 

 

M piace l’idea di condividere sue riflessioni che arrivano dal testo e da alcune sue interviste.

 

 

“Ciascuno di noi è chiamato a diventare l’imprenditore della propria vita: autonomo, performante, dinamico e non dimentichiamo.... felice!  infatti, nelle nostre società egualitarie tutti possono tutto -anche se per la verità solo sulla carta- Se state male, siete disoccupati, malati, deboli, non avete che da prendervela con voi stessi, è colpa vostra!”

“Viviamo in una società schiacciata dal peso e dai “limiti dell’utile”. 

Il problema di questa visione utilitaristica, oramai dominante, è che rende assoluta una dimensione comunque reale, ma relativa. L’utilitarismo vorrebbe presentarsi come l’unica realtà possibile, cogliendo però una sola dimensione della vita.


 

Per resistere a questa logica bisogna sviluppare e valorizzare altre dimensioni molteplici della vita sociale e personale. 

Soprattutto ora, in un momento di forte crisi, recuperando, ad esempio, la dimensione del dono e del gratuito. Il legame sociale è sempre stato fondato sulla logica del dono e del contro-dono, non solo su quella dell’utile.

Solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare legami e di comporre la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastro. La nostra società non fa l’apologia del desiderio, fa piuttosto l’apologia delle voglie, che sono un’ombra impoverita del desiderio.”

 


 

“L’impoverimento relazionale può essere posto in collegamento con il fatto che la nostra è un’epoca deprivata di qualunque dimensione tragica. La tragedia si definisce come l’incantesimo del mondo in cui trama l’intero universo.[…] Ciò significa che l’individuo non è solo: quello che fa riguarda l’universo. […]


 

La persona che vive in un mondo abitato dal tragico possiede un’esperienza singolare che la rimanda a qualcosa di comune. […] Questo comune ha una forza tale che la morte appare come un evento singolare che rimanda al comune, un evento che non rappresenta la fine di tutto. La morte come evento tragico, rimanda, quindi, a una non finitudine totale della morte, perché partecipa del comune, perché la vita continua in quelle dimensioni comuni che noi abbiamo abitato, quelle a cui abbiamo partecipato."

  

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